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mercoledì 06 novembre 2024

FAUDA E BALAGAN — il Blog di Alfredo De Girolamo e Enrico Catassi

Alfredo De Girolamo e Enrico Catassi

ALFREDO DE GIROLAMO - Dopo un lungo periodo di vita vissuta a Firenze in cui la passione politica è diventata lavoro, sono tornato a vivere a Pisa dove sono cresciuto tra “Pantere”, Fgci, federazione del partito e circoli Arci. Mi occupo di ambiente e Servizi Pubblici Locali a livello regionale e nazionale. Nella mia attività divulgativa ho pubblicato i libri Acqua in mente (2012), Servizi Pubblici Locali (2013), Gino Bartali e i Giusti toscani (2014), Riusi: da rifiuti a risorse! (2014), Giorgio Nissim, una vita al servizio del bene (2016), SosteniAMO l'energia (2018), Da Mogador a Firenze: i Caffaz, viaggio di una famiglia ebrea (2019). ENRICO CATASSI - Storico e criminologo mancato, scrivo reportage per diversi quotidiani online. Svolgo progetti di cooperazione internazionale nei Paesi in via di sviluppo. Curatore del libro In nome di (2007), sono contento di aver contribuito, in piccola parte, ad Hamas pace o guerra? (2005) e Non solo pane (2011). E, ovviamente, alla realizzazione di molte edizioni del Concerto di Natale a Betlemme e Gerusalemme. Gli autori insieme hanno curato i seguenti libri: Gerusalemme ultimo viaggio (2009), Kibbutz 3000 (2011), Israele 2013 (2013), Francesco in Terra Santa (2014). Voci da Israele (2015), Betlemme. La stella della Terra Santa nell'ombra del Medioriente (2017), How close to Bethlehem (2018), Netanyahu re senza trono (2019) e Il Signor Netanyahu (2021).

Ungheria, la quarta di Viktor Orbán

di Alfredo De Girolamo e Enrico Catassi - mercoledì 06 aprile 2022 ore 21:00

L'esito del voto in Ungheria rischia di condizionare le future risposte dell'Unione Europea alla Russia. La riconferma di Viktor L'esito del voto in Ungheria rischia di condizionare le future risposte dell'Unione Europea alla Russia. La riconferma di Viktor Orbán, alla quarta vittoria consecutiva nelle urne, è uno schiaffo a Bruxelles, calpestata dalle politiche e dalla propaganda del leader magiaro. Ma è anche, purtroppo, il pericoloso segnale del successo di Putin nel fare breccia nel cuore dell'Europa, nel momento più complesso delle relazioni. Nonostante, alla vigilia i sondaggi avessero previsto una corsa serrata così non è stato, e per il partito del primo ministro Fidesz è stata invece una comoda passeggiata. Cocente l'umiliazione per lo sfidante Peter Marki-Zay, moderato, espressione della larga e variegata coalizione di opposizione, che non è riuscito nemmeno ad imporsi nel suo distretto, dove era stato sindaco. Il clima elettorale è stato dominato dagli echi della vicina guerra in Ucraina. Orbán ha promesso di rimanere fuori dal conflitto, ad ogni costo e a concesso meno del minimo sindacale in materia di sanzioni a Mosca. Non ha rinnegato i legami con il Cremlino e non ha teso la mano della solidarietà all'Ucraina, tantomeno a Zelensky. Indicativo a riguardo il commento rilasciato a caldo: “Abbiamo conquistato il potere contro tutti... perfino contro il presidente ucraino Zelensky”.

L'uomo forte di Budapest (tra le pochissime città ad avergli voltato le spalle in questa tornata), è stato chiamato a quello che tutti hanno giustamente interpretato come un referendum sulla sua persona. E lui ha dato prova di aver plasmato una nazione e di non essere pronto a lasciare il potere agli avversari. Orbán è un personaggio scomodo, non solo perché autoritario e amico personale di Putin. Con cui ha siglato nell'arco degli anni un forte sodalizio, saldato da 12 incontri durante la passata campagna elettorale, se mai ci dovesse essere stato qualche dubbio sulla sua equidistanza nel conflitto ucraino. Infatti, è principalmente sul piano internazionale che la figura di Orbán crea oramai pesante imbarazzo. L'ostentato pacifismo di maniera in realtà nasconde altri interessi. In primis la dipendenza energetica dell'Ungheria da Mosca, che fornisce circa il 90% del gas e il 65% del petrolio. Nel caso di un eventuale taglio di forniture si stimano ricadute potenzialmente devastanti per l'intera economia ungherese. La sfacciata posizione di “neutralità” ha tuttavia un costo, l'isolamento. La prima crepa della rete diplomatica di Orbán è la diffusa freddezza mostrata da storici partner. L'invasione dell'Ucraina ha fatto cambiare approccio alla Polonia e ad altri “soci” del gruppo di Visegrád, patto di cui proprio Orbán è stato architetto e promotore, e che ora rischia di implodere malamente.

In conclusione. Il risultato elettorale è stata indubbiamente una grande dimostrazione di forza interna dell'ideologo della nuova destra europea, nazional-populista e religiosa, confermata dal controllo dei 2/3 del parlamento. Mentre, esternamente ha perso importanti posizioni. Quanto le distanze tra l'Occidente e l'Ungheria siano un reale problema già lo sapevamo., alla quarta vittoria consecutiva nelle urne, è uno schiaffo a Bruxelles, calpestata dalle politiche e dalla propaganda del leader magiaro. Ma è anche, purtroppo, il pericoloso segnale del successo di Putin nel fare breccia nel cuore dell'Europa, nel momento più complesso delle relazioni.

Nonostante, alla vigilia i sondaggi avessero previsto una corsa serrata così non è stato, e per il partito del primo ministro Fidesz è stata invece una comoda passeggiata. Cocente l'umiliazione per lo sfidante Peter Marki-Zay, moderato, espressione della larga e variegata coalizione di opposizione, che non è riuscito nemmeno ad imporsi nel suo distretto, dove era stato sindaco. Il clima elettorale è stato dominato dagli echi della vicina guerra in Ucraina.

Orbán ha promesso di rimanere fuori dal conflitto, ad ogni costo e a concesso meno del minimo sindacale in materia di sanzioni a Mosca. Non ha rinnegato i legami con il Cremlino e non ha teso la mano della solidarietà all'Ucraina, tantomeno a Zelensky. Indicativo a riguardo il commento rilasciato a caldo: “Abbiamo conquistato il potere contro tutti... perfino contro il presidente ucraino Zelensky”.

L'uomo forte di Budapest (tra le pochissime città ad avergli voltato le spalle in questa tornata), è stato chiamato a quello che tutti hanno giustamente interpretato come un referendum sulla sua persona. E lui ha dato prova di aver plasmato una nazione e di non essere pronto a lasciare il potere agli avversari. Orbán è un personaggio scomodo, non solo perché autoritario e amico personale di Putin. Con cui ha siglato nell'arco degli anni un forte sodalizio, saldato da 12 incontri durante la passata campagna elettorale, se mai ci dovesse essere stato qualche dubbio sulla sua equidistanza nel conflitto ucraino.

Infatti, è principalmente sul piano internazionale che la figura di Orbán crea oramai pesante imbarazzo. L'ostentato pacifismo di maniera in realtà nasconde altri interessi. In primis la dipendenza energetica dell'Ungheria da Mosca, che fornisce circa il 90% del gas e il 65% del petrolio. Nel caso di un eventuale taglio di forniture si stimano ricadute potenzialmente devastanti per l'intera economia ungherese. La sfacciata posizione di “neutralità” ha tuttavia un costo, l'isolamento. La prima crepa della rete diplomatica di Orbán è la diffusa freddezza mostrata da storici partner. L'invasione dell'Ucraina ha fatto cambiare approccio alla Polonia e ad altri “soci” del gruppo di Visegrád, patto di cui proprio Orbán è stato architetto e promotore, e che ora rischia di implodere malamente.

In conclusione. Il risultato elettorale è stata indubbiamente una grande dimostrazione di forza interna dell'ideologo della nuova destra europea, nazional-populista e religiosa, confermata dal controllo dei 2/3 del parlamento. Mentre, esternamente ha perso importanti posizioni. Quanto le distanze tra l'Occidente e l'Ungheria siano un reale problema già lo sapevamo.

Alfredo De Girolamo e Enrico Catassi

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