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lunedì 07 ottobre 2024

FAUDA E BALAGAN — il Blog di Alfredo De Girolamo e Enrico Catassi

Alfredo De Girolamo e Enrico Catassi

ALFREDO DE GIROLAMO - Dopo un lungo periodo di vita vissuta a Firenze in cui la passione politica è diventata lavoro, sono tornato a vivere a Pisa dove sono cresciuto tra “Pantere”, Fgci, federazione del partito e circoli Arci. Mi occupo di ambiente e Servizi Pubblici Locali a livello regionale e nazionale. Nella mia attività divulgativa ho pubblicato i libri Acqua in mente (2012), Servizi Pubblici Locali (2013), Gino Bartali e i Giusti toscani (2014), Riusi: da rifiuti a risorse! (2014), Giorgio Nissim, una vita al servizio del bene (2016), SosteniAMO l'energia (2018), Da Mogador a Firenze: i Caffaz, viaggio di una famiglia ebrea (2019). ENRICO CATASSI - Storico e criminologo mancato, scrivo reportage per diversi quotidiani online. Svolgo progetti di cooperazione internazionale nei Paesi in via di sviluppo. Curatore del libro In nome di (2007), sono contento di aver contribuito, in piccola parte, ad Hamas pace o guerra? (2005) e Non solo pane (2011). E, ovviamente, alla realizzazione di molte edizioni del Concerto di Natale a Betlemme e Gerusalemme. Gli autori insieme hanno curato i seguenti libri: Gerusalemme ultimo viaggio (2009), Kibbutz 3000 (2011), Israele 2013 (2013), Francesco in Terra Santa (2014). Voci da Israele (2015), Betlemme. La stella della Terra Santa nell'ombra del Medioriente (2017), How close to Bethlehem (2018), Netanyahu re senza trono (2019) e Il Signor Netanyahu (2021).

Turchia, un sovrano senza pietà

di Alfredo De Girolamo e Enrico Catassi - domenica 12 marzo 2017 ore 20:43

La battaglia politica del referendum del 16 aprile in Turchia si è clamorosamente spostata in Europa. Le turbolenze della campagna referendaria turca per cambiare la Costituzione e introdurre il presidenzialismo stanno agitando persino la Cancelleria di Berlino. I proclami di ferro e fuoco contro la Germania definita senza mezzi termini “nazista” lanciati dal premier Recep Tayyip Erdogan, hanno irrigidito la Merkel. In ballo qualche punto percentuale che potrebbe diventare decisivo, pesano sulla bilancia i voti di 3 milioni di turchi che risiedono in Germania. 

Dai giorni del fallito golpe dello scorso luglio ad oggi lungo le rive del Bosforo si susseguono inganni e trame intrigate, attentati ed epurazioni, che hanno portato Erdogan ha proclamarsi pro-tempore sultano della Sublime Porta. E pur di non perdere è disposto a giocare tutte le carte, arrivando ad imporre una stretta ulteriore, alla libertà di stampa. Per i giornalisti non allineati alla propaganda di governo la porta dei tribunali è subito dietro l'angolo. La rinascita dell'impero ottomano resta tuttavia una pura illusione, coltivata negli anni di governo dallo stesso nostalgico leader e dal suo partito religioso AKP. Formazione politica riproduzione, più o meno fedele, del movimento dei Fratelli Musulmani egiziani e delle sue emanazioni in Medioriente. 

Le affinità con la fratellanza sunnita hanno tuttavia preso un indirizzo diverso da quello iniziale, quando Erdogan apertamente sosteneva, anche economicamente, il regime di Hamas a Gaza, e Mohammed Morsi al Cairo. Allora le invettive di Erdogan non erano rivolte all'Europa o agli USA ma bensì ad Israele e alla Russia. I tempi cambiano in fretta, e chi ieri era un nemico giurato nel valzer trumpiano della diplomazia si è trasformato in un amico, un partner economico, un alleato militare. Un passaggio frutto dei tempi che corrono drammatici in Turchia e non solo. Il prossimo aprile il popolo turco sarà chiamato a decidere tra una repubblica parlamentare o legittimare poteri speciali alla sua guida politica, due strade divergenti. 

Se approvata la nuova Costituzione, tra le altre cose, prevede l'abolizione del Primo ministro e il passaggio delle funzioni al Presidente, il quale godrà di ampia autorità anche sulla magistratura. Il disegno di legge inoltre spiana, di fatto, ad Erdogan la strada per restare sulla poltrona di sultano sino al 2029. La Turchia rischia una deriva autoritaria non indifferente su cui Bruxelles dovrebbe riflettere, prendendo le dovute contromisure in tempo. L'Europa, in questi anni, ha tollerato, per quieto vivere più che per altre ragioni, relazioni sbilanciate a favore di Ankara nella speranza di allargare le frontiere dell'Unione. L'idea di inclusione civile è scaduta. 

La frattura tra la Turchia e l'Europa è siderale, purtroppo non minore di quella che la separa da una società libera e democratica. Migliaia di dipendenti statali e accademici sono stati allontanati in questi mesi dal loro posto di lavoro, nel Paese è diffuso un clima di paura, ampliato dalla minaccia di nuovi attacchi terroristici. Una Turchia tra l'incudine e il martello, con in atto un processo di fusione tra stato e religione attraverso il partito unico guidato dall'uomo forte, con l'autoritario controllo degli apparati e la drastica riduzione degli spazi del dissenso democratico. 

Per Erdogan la consapevolezza di essere espressione “sublime” di una nuova oligarchia economica e militare, forse maggioranza nel paese. Per l'Europa la responsabilità di non restare fragile e scomposta. Intanto, con la stampa sempre più imbavagliata, nella turistica cittadina di Mugla nelle scorse settimane ha avuto inizio il processo ai congiurati accusati di aver complottato per uccidere il presidente Erdogan. Alla sbarra decine di persone che, forse, hanno pensato di eliminare un presidente e invece assistono dal carcere all'incoronazione di un sovrano che non ha nessuna pietà.

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Alfredo De Girolamo e Enrico Catassi

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