Il presepe di San Martino
di Gianni Micheli - mercoledì 03 dicembre 2025 ore 08:00

Metti una sera a Gubbio. Una sera silenziosa di fine novembre. Poche le luci accese. Le pietre umide (ha piovuto per tutto il pomeriggio) che si cercano e si riflettono in mille specchi. Qualche colombo, certamente, starà già dormendo.
Cammino tranquillo, con le mani in tasca, in direzione del Teatro Ronconi, proprio ad un passo dal quartiere San Martino, quando da un vicolo sembra spuntare un naso. Un volto, il capo incorniciato dalla stoffa.
Incuriosito mi avvicino.
L’uomo è fermo. Solenne. Immobile.
Io pure.
Lo guardo. Lo studio.
È un fornaio, si direbbe. Alto un metro e settanta, più o meno: paniere in mano, colmo di pagnotte, viso concentrato, sguardo fiero.
L’uomo, con il suo copricapo, pronto ad affrontare per strada l’inverno eugubino, è una statua a grandezza naturale. Una roba che se ti ci svegli davanti dopo un pisolino in macchina pensi di essere finito in un reality in costume. Anche se qui, con la macchina, non ci puoi arrivare.
“Dovrei portarci mia figlia”, penso. “Chissà la sorpresa”.
Immerso in un fresco desiderio di scoperta, attratto dai colori e dalle forme che credo di scorgere dal vicolo presidiato dall’antico fornaio di Gubbio, faccio un passo… e ne vedo un altro.
Anzi due. Due donne, questa volta, a vendere castagne. Una, piegata, sembra cuocerle sul suo forno da strada. L’altra è addetta al banco. Serissima.
Buone, le castagne. Mi viene quasi da chiederle “quanto vengono?” ma mi trattengo. Lei mi ignora.
Più avanti sembra sostare un mercante col suo mantello. Ed ancora un presidio romano, facilmente riconoscibile dalle figure con il loro manto bianco e il drappo rosso. Sarà il buio, sarà l’aria umida che scuote l’aria con gocce di meraviglia, ma potrei giurare di aver sentito un colpo di tosse tra quelli in attesa, forse di un visto, forse di altro. Maledetta burocrazia, non ce ne siamo mai liberati.
Attendo. Avanzo.
Ormai sono ospite dal quartiere ed ogni due metri appare una nuova statua: lo speziale, il ciabattino, il venditore di brocche, un contadino con una pecora che sembra fissarmi. Tutti immobili. Tutti silenziosi. Tutti giganteschi con i loro banchi, i prodotti, le attese, le speranze. Il linguaggio muto di corpi sospesi, tra le ombre di una notte ormai padrona delle strade e del tempo.
Mi soffermo sul sandalo di un ciabattino. Vorrei dirgli “bel lavoro!” ma lui non muove un ciglio.
Continuo a camminare, m’inoltro in un viaggio inatteso.
Le strade sono vuote, le ombre ormai lunghissime, vi sono stoffe appese che accarezzano il vento mentre il mio passo segna il tempo come un tamburo. O come i cuori di questo strano pubblico silente, esperimento sociale per la psiche di un novello Dario Argento.
Quando arrivo alla natività sorrido. L’attendevo, ormai. Mi chiedevo dov’era o se già fosse stata allestita. Siamo a fine novembre, d’altronde. Forse è ancora presto.
La natività è lì, al centro di una piccola piazza, calma e buia. Soprattutto buia. Niente stella cometa, non ancora. L’edera è a terra, da allestire. Maria e Giuseppe, se sono loro, sembrano ben seri a preparare il loro giaciglio. In tutto quel buio cerco il bambino ma non c’è. Giustamente non c’è. C’è solo un silenzio solenne. E perché no emozionante.
Inquietante, perfino.
Mi avvicino. E lì succede.
No, non si muovono. Non iniziano a parlare. Non ricomincia il musical di Natale.
Mi cade una chiave.
Silenzio totale.
Dura un istante ma ho la sensazione che tutte le statue mi stiano guardando. Proprio tutte. Anche la pecora. Soprattutto la pecora.
Mi chino lentamente. Se fossimo in un film di Dario Argento adesso sarei attaccato dalla folla dei figuranti. Ma non accade nulla di tutto ciò. Recupero la chiave. Mi rialzo. Sorrido.
Il presepe prosegue ed io faccio altrettanto. Mi aspettano in teatro, non posso tardare.
Non riesco però a non pensare di aver partecipato all’inatteso. Ad un rito silenzioso con il suo carico millenario di storia, di fatica e di speranze. Di un’umanità che non ha mai smesso di lottare e di guardare avanti, attendendo l’inimmaginabile.
Fino ad oggi non lo sapevo ma Gubbio ha il suo presepe. Un presepe da raccontare soprattutto di notte con la certezza che, se cammini da solo, come me, potresti non essere così solo come pensi.
L’allestimento “Le vie del presepe” con la storica tradizione del presepe di San Martino - oltre 120 statue a grandezza naturale per rievocare la vita e i mestieri dell’antica Gubbio - è già in mostra ma sarà pienamente visitabile dall’8 dicembre al 6 gennaio. Con il bambinello, a quel punto.
Gianni Micheli







