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NOScienza domenica 05 marzo 2017 ore 12:01

​Scienza medica e gioco

Intervista al primario di oculistica pediatrica del Meyer.



FIRENZE — L'ospedale pediatrico Meyer si è rivelato a noi dopo l’ennesima curva veloce del nostro autobus, sulle colline che portano a Fiesole, a 20 minuti dalla stazione di S.M.Novella di Firenze. Il Meyer, una bella villa antica con delle ali modernissime era là, circondato dalle assolate colline fiorentine, che anticipava, nello splendido aspetto esterno, i suoi contenuti di eccellenza internazionale nel campo medico pediatrico. Quel giorno avevamo un appuntamento con il direttore della pediatria oftalmica, il dott. Roberto Caputo che con grande disponibilità si è lasciato bersagliare dalle nostre domande di giornalisti in erba.   - Quali differenze ci sono tra curare un adulto e un bambino?  abbiamo esordito.   La prima differenza consiste nel modo di ottenere le informazioni, sia durante la visita, sia con gli esami, servono infatti tecniche particolari di metalinguaggio per capire i problemi del bambino, che non espone i sintomi con la stessa precisione di un adulto. Inoltre, riuscire a collaborare con i più piccoli non è facile, visto che, se l'approccio non è adeguato, il bambino si chiude in se stesso e non è possibile aiutarlo. Anche i genitori, che potrebbero essere d’aiuto, a volte sono troppo coinvolti e non ci riescono. Inoltre anche le patologie sono differenti, ce ne sono alcune che riguardano esclusivamente i miei giovani pazienti.   - Dal punto di vista umano, come ci si approccia ai bambini?   In effetti moltissimo dipende dal primo impatto! Infatti, in realtà sono i bambini che fanno una “diagnosi” immediata a chi li sta visitando, e a questo “esame” si può essere “promossi” creando un ambiente adatto a loro, magari evitando i camici o tenendo le pareti colorate. Con i più piccoli bisogna giocare sempre e guai a far provare loro paura, se si spaventano, non si riesce a ottenere nulla. La parte umana è fondamentale, direi che costituisce il 90% del mio lavoro. Prima ha accennato all’importanza dei genitori.   - Come ci si rapporta con loro?   Esistono diversi tipi di genitori e di reazioni, c’è chi è più apprensivo, chi meno, chi capisce e accetta la malattia del figlio, chi si dispera perfino per un nuovo paio di occhiali. Anche con loro è opportuno e necessario valutare attentamente il tipo di persona che si ha davanti e adattarvisi per capire il modo migliore per esporre il problema.   - Com'è stato il suo primo incontro con l’oculistica infantile?   All'inizio non si è mai da soli, si è sempre protetti e accompagnati, col tempo si acquisisce sempre più autonomia.   - Quali sono le patologie principali che vengono affrontate?   I disturbi più comuni sono l'occhio pigro (quando un bambino non usa uno dei due occhi) e lo strabismo, più gravi e rari sono il glaucoma, la cataratta e alcune malattie retiniche che si iniziano a presentare già dall'infanzia, che vanno individuate velocemente perché potrebbero portare anche alla cecità.  Agire tempestivamente è sempre fondamentale.   - Che cosa consiglierebbe a un giovane desideroso di intraprendere la sua professione?   Innanzitutto, dimenticarsi gli orari in ospedale e non portarsi il lavoro a casa, soprattutto dal punto di vista psicologico. E poi, essere collaborativi e aperti al dialogo con i colleghi, in quanto le rivalità, anche se inevitabili, sono deleterie per la creazione di un clima di lavoro che sia sereno e produttivo per tutti. Ringraziamo il dottor Caputo e il personale dell'ospedale Meyer per la disponibilità e la cortesia. 

Costanza Alberti, Giulio Altese, Virginia Asya Bacci, Lorenzo De Carlo

4A Liceo Classico XXV Aprile - Pontedera


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