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hanNOScritto martedì 04 maggio 2021 ore 11:10

Quando cercare notizie mette a rischio la vita

Tre studentesse riflettono sulla necessità di indagare le notizie per approfondirle e svolgere il mestiere di giornalista ed il senso della vita



FIRENZE — Forse proprio per la diffusione dei media e dei mezzi di comunicazione, spesso sono le informazioni più compromettenti a essere le più rimunerative. Per questa ragione sono molti i giornalisti che tentano di divulgare verità scomode e, pur di informarci, si mettono in pericolo e talvolta perdono la vita.

Non stiamo parlando di lontane epoche addietro, è sufficiente riandare al secolo precedente. Italo Toni (Sassoferrato, 1930 – Beirut, 1980). Sebbene inizialmente lavorasse come maestro elementare, si appassionò alle vicende del vicino oriente tanto da intraprendere in quella zona un viaggio in cui scoprì l’esistenza dei primi campi di addestramento della guerriglia palestinese. Nel 1980 partì alla volta di Beirut, capitale Libanese, con l’intenzione di riportare da lì altre testimonianze sotto forma di Diari. Il 2ottobre del 1980 lui e una sua collaboratrice lasciarono l’hotel, dopo aver precedentemente comunicato le loro intenzioni all’ambasciata, chiedendo di essere cercati se non fossero tornati entro 3 giorni. Dopo quel giorno non si avrà più notizia dei due giornalisti. Una delle ipotesi più probabili è che lo stesso equipaggio della loro jeep abbia teso loro un’imboscata. I corpi ancora oggi non sono stati ritrovati. Il segreto della loro vicenda è stato sciolto solo recentemente, nel 2019.

Una sorte analoga, in epoca più recente, è toccata a Giulio Regeni (Trieste, 1988 – Cairo,2013). Giulio non è un giornalista professionista, ma studia presso l’università di Cambridge; da dove si reca in Egitto per conseguire il dottorato, compiendo gli studi presso l’Università Americana del Cairo. Lì ha l’incarico di raccogliere informazioni e materiali per scrivere un articolo sulla situazione sindacale dopo la rivoluzione egiziana del 2011. È bastato questo suo interesse per portarlo alla morte, dopo essere stato atrocemente torturato. Nove giorni dopo viene ritrovato il corpo con lividi e lesioni, interne ed esterne.

Da esempi come questi si evince quanta passione e dedizione, unite alla convinzione di avere il dovere di divulgare la verità, siano occorse per svolgere questo mestiere di reporter investigativo, una scelta di vita professionale che spesso va a precludere la possibilità di avere una vita per così dire “normale”. In effetti è grazie al sacrificio di queste persone che siamo venuti a conoscenza di verità che, altrimenti, sarebbero rimaste sconosciute.

Ma sorge spontanea la domanda: Quanti di noi sarebbero disposti a farlo?

Cecchi Chiara, Cellai Guendalina, Di Paco Lucrezia 

4G, Liceo Michelangiolo, Firenze


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