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NOSpettacoli domenica 02 maggio 2021 ore 18:50

​Psycho, un cult allo specchio tra anni '60 e '90

Il film “Psycho” di Alfred Hitchcock nella versione originale del 1960 e il remake, che è stato girato nel 1998 con la regia di Gus Van Sant



FIRENZE — Ho rivisto con piacere il film “Psycho” di Alfred Hitchcock nella versione originale del 1960 e, successivamente, ho voluto rivedere anche il remake, che è stato girato nel 1998 con la regia di Gus Van Sant. Come quasi sempre succede, quando l’originale è un capolavoro, il remake delude.

Di Hitchcock è stato detto tutto, della genialità creativa, delle sceneggiature dettagliatissime, della regia impeccabile e non si finirà mai di sentir dire quanto la filmografia di Hitchcock attragga per la sua costante suspance.

Hitchcock è, per opinione comune, il primo vero e forse unico maestro del suspance in ambito cinematografico. Nel suo film Psycho, fin dalla prima ripresa, si avverte una leggera tensione che poi, piano piano, diventa brivido. La ripresa di quell’anonima città di Phoenix in Arizona dove il bianco-nero del paesaggio, la musica graffiante, l’anonimato di palazzi tutti uguali, sono tutti segni di un dramma che sta per esplodere e che puntualmente esplode, secondo un crescendo emozionale che passa dall’amore svilito fra Marion e Sam, all’anonimo mondo borghese contro il quale Marion si rivolta, con un gesto incomprensibile, illecito, ma pure umano. E la tensione sale ancora nelle scene dell’incontro tra Marion e il poliziotto in autostrada e poi ancora quando lei si vede con il venditore di automobili, fino ad arrivare al culmine, nel colloquio di lei con Norman Bates, in un salottino di motel pieno di uccellacci imbalsamati.

L’inquietudine palpitante in cui Hitchcock ci fa affondare durante la visione del film, raggiunge il culmine nella scena della doccia: qui il colore predominante è il bianco (ottenuto dalla luce di una lampadina dietro la tenda translucida).

La stessa tensione narrativa che si coglie lungo tutto il film Hitchcock riesce a spalmarla anche in tutti i personaggi, che siano attori, protagonisti, co-protagonisti o comparse. I personaggi ruotano intorno a Norman Bates, interpretato magistralmente da Hanthony Perkins il quale, a sua volta, regge e, per così dire, “pilota” la tensione di tutti gli altri personaggi: della vittima, della sorella, dell’amante e dell’investigatore. L’arte di Hitchcock si potrebbe definire che sia Genio e Raffinatezza. Secondo il mio punto di vista, la genialità del regista esplode non tanto nelle due scene di violenza, ma quando, a indagine ormai conclusa, quel che resta di Norman Bates parla con la voce di una donna, con un effetto che faceva rabbrividire ieri così come oggi.

Dalla visione della pellicola rivisitata “Psycho” nel 1998 di Gus Van Sant potrei azzardare un mio giudizio dicendo che, per quanto io non ne sia rimasto propriamente deluso, che il rifacimento sta all’originale come la fotografia di un panorama sta a un panorama. In questo remake ogni scena e perfino le singole battute ripercorrono fedelmente la sceneggiatura originale di Hitchcock e questa è stata sicuramente una mossa intelligente da parte del nuovo regista. Ma quella tensione di cui parlavo all’inizio, aggravata dalla freddezza della presentazione in bianco e del nero e da un’ambientazione in cui l’ anonimato è volutamente ricercato, si perde in questo rifacimento.

Qui infatti l’uso del Technicolor appiattisce e non esalta. La naturalezza di attori sconosciuti è bilanciata dalla notorietà della trama che però fa perdere freschezza nella recitazione. Infine nel remake il personaggio di Norman Bates, per quanto ben interpretato, non ha quella naturalezza e quel senso dell’enigma che ha invece Norman nella versione originale.

In conclusione potrei dire che Psycho del 1998 si è rivelata una pellicola piuttosto rigida, se pur tecnicamente ben fatta; ma risulta un po’ troppo appiattita, con poca forza innovativa non tanto nella storia, quanto nella vis recitativa degli attori i quali, a un certo punto, si sono forse sentiti come soggiogati dai loro predecessori.

Con tutto ciò si può riconoscere che, a dispetto delle tante delusioni a cui ci hanno abituati i rifacimenti di molti capolavori, questo remake di Psycho, tutto sommato, può dirsi piacevole e godibile, forse proprio per la modestia delle sue pretese. Soprattutto se non si è presa visione della versione originale. Il regista del remake credo comunque che abbia avuto un grande rispetto per il maestro.

Andrea Tortelli, 4 G, 

Liceo Michelangiolo, Firenze


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