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soNOStato martedì 03 agosto 2021 ore 10:15

Il mare visto da una barca d’epoca

Una studentessa racconta la sua esperienza di navigazione a bordo di una barca d'epoca, a stretto contatto con la storia ma anche con la natura



LIVORNO — Avete presente il suono del vento che soffia sul mare e i flutti che, rispondendo, si rincorrono tra loro? E i tramonti? Li avete mai visti? Quelli in cui il sole si sfuma con le onde all’orizzonte per dare vita alla notte? E avete mai osservato l’alba, l’aurora di Ulisse dalle dita rosate?

Vi è capitato di dover fuggire da un luogo per cercare riparo a causa di una tempesta improvvisa? Bene, immaginate di fare tutto questo, ma in una barca a vela, e non una qualsiasi, ma una di quelle costruite un secolo fa, rivestite completamente di legno, con la poppa slanciata, il bompresso e la delfiniera a prua, così diversa da quelle moderne, per forme, progetto e concetto. Parlo di un natante d’epoca, dalle forme piene, con carene lunghe e profonde, linee dislocanti e slanciate sia a prua sia a poppa. Con armi velici frazionati, a volte con vele Auriche, (randa a forma trapezoidale), a volte con vele Marconi (randa triangolare).

Navigare con queste barche significa stare a stretto contatto con il passato e con la storia, ma anche con la natura. Ci si sente parte del mare e del suo ecosistema, si osservano coste e spiagge irraggiungibili a piedi, s’impara ad avere pazienza, ad aspettare il vento, il sole, un mare né troppo calmo, né troppo mosso. La barca a vela ha i suoi tempi e le sue andature, non si raggiunge un’isola in mezz’ora, né, per la sua chiglia profonda, si giunge a pochi metri dalla riva per dare àncora. Eppure regala emozioni uniche.

Veleggiare è come leggere una poesia. Si ascolta il suono del vento che soffia tra le vele, quello dei flutti che s’infrangono sullo scafo, percorrendolo tutto, fino a ricongiungersi, quello degli schizzi d’acqua che bagnano il pozzetto e lasciano piccoli aloni scuri. Si respira un profumo di piante mediterranee mischiate al sale, ma anche di libertà e grande felicità. Sul filo dell’onda è possibile raggiungere luoghi incontaminati con spiagge bianche e un mare color turchese, senza essere disturbati da nessuno, dove trascorrere una giornata in tranquillità, godendo di meravigliose vedute.

Questo genere di barca ha una sua dignità da rispettare: rappresenta un bene culturale di grande valore, come può esserlo una statua o un monumento antico. Salendo a bordo di questi yacht la storia non è più solo un ricordo o un libro, ma torna ad essere attuale e ci riporta alla navigazione di cento o più anni fa. Infatti non parliamo di quelle comode, lucide, lineari barche moderne, interamente in plastica e alluminio, molto più leggere e dunque più veloci. No. Queste sono imbarcazioni d’altri tempi che richiedono rispetto e fatica, manutenzione e tempo. In compenso, ci fanno assaporare il mare nella sua vera essenza.

Lo yacht in legno, anche visto da lontano, non può non essere fotografato, perché c’incanta con la sua bellezza e le sue linee che formano un tutt’uno con la natura che lo circonda: fa percepire la magia del mare in modo seducente e imprevedibile. La barca a vela è così attraente, perché racconta qualcosa, mantenendo vive le nostre origini, con sentimenti di gloria e di meraviglia, e mostrandoci il futuro, infondendoci il coraggio di osare e combattere, affinché oggetti di tale fascino non vengano persi o dimenticati.

Ma dove e come è nato lo yacht, inteso nel suo attuale senso “diportistico”?

Facciamo un salto indietro nel tempo e arriviamo all’antica Roma. Sui fondali del lago vulcanico di Nemi, nei Colli Albani, tra il 1928 ed il 1932 furono rinvenuti i resti di due imbarcazioni risalenti al primo secolo dopo Cristo, che gli archeologi denominarono “navi di Nemi”. Ne dedussero che probabilmente erano state imbarcazioni utilizzate da Caligola con scopi ricreativi dato che al loro interno furono rinvenuti oggetti adornativi e non anfore o armi da guerra. Di quelle navi, autentiche piccole regge galleggianti, purtroppo oggi resta ben poco (furono distrutte nel 1944, durante i bombardamenti). È chiaro che ci troviamo al cospetto di uno dei primi esempi di navi adibite a scopo ludico-diportistico che si possono indicare come antesignane dei più moderni yacht.

Vezzi imperiali a parte, si può dire che la nascita vera e propria di quel tipo di natante, risalga alla fine del XVII secolo in Olanda. Una delle prime imbarcazioni di quel tipo fu, infatti, lo “Yaght” Mary del 1660, di circa sedici metri. Si ricorda questa barca perché il governo olandese ne fece dono a Carlo II Stuart e fu proprio lui che, al ritorno a Londra dal suo esilio nei Paesi Bassi, favorì lo sviluppo dello yachting. Infatti la “Mary” piacque ai sudditi di sua maestà e fu imitata dai nobili britannici, tanto che la passione per lo yachting cominciò a prendere campo anche in Inghilterra. Il nome stesso “yacht” non è altri, infatti, che la versione inglese del termine olandese “Yaght”. Nel corso del 1700 nacquero vari club e dettero luogo a competizioni nautiche dette “regatta”, dal termine italiano regata.

Con la fine delle guerre Napoleoniche queste affascinanti imbarcazioni cominciarono a diffondersi anche nelle colonie inglesi. Erano barche pesanti con velature complesse che richiedevano un equipaggio preparato, coraggioso e pronto a qualsiasi rischio.

Ma intorno agli anni 1960-70 le barche di legno cominciarono a essere abbandonate e trasformate come se non fossero più di moda fra i nuovi ricchi che le sfregiarono e “rinnovarono” con alberi d’alluminio e con pezzi di poco valore. E così molti cantieri chiusero. Ma ecco che, come d’incanto, nel 1982, grazie alla rinata passione e sensibilità di alcuni vecchi amatori, riesplose l’interesse per questi scafi in legno, tanto che fu organizzato un primo raduno per imbarcazioni d’epoca e da lì, a poco a poco, si riscoprì la bellezza e l’importanza dello yacht.

Vi è un giorno nella vita di queste imbarcazioni che è forse il più importante di tutti, parlo del varo, che è il battesimo di una barca. Si tratta del momento in cui la chiglia tocca per la prima volta il mare, l’istante in cui comincia a respirare e a conoscere la sua vera essenza.

Solitamente per le barche d’epoca si tratta del secondo varo, dopo che il restauro ha salvato l’imbarcazione dall’inattività e l’ha restituito alla vita. Proprio come a un battesimo, c’è una madrina, un officiante o un sacerdote pronto a battezzarla e a benedirla, affinchè la barca possa navigare con un buon vento in poppa per i mari di tutto il mondo. Durante il varo una bottiglia di spumante viene fatta infrangere sul bompresso, e si dice che porti bene solo se la bottiglia si rompe al primo colpo. Questa cerimonia è solitamente aperta al pubblico, poiché più persone sono presenti, maggiore sarà il fragore degli applausi e sarà così più facile per le Divinità del mare ascoltare e accogliere la nuova arrivata, proteggendola sempre.

Diletta Zaccagni, IV D

Liceo Classico Michelangiolo, Firenze


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