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NOScienza domenica 18 giugno 2017 ore 21:50

La curiosità parte dal DNA

Parente dell'intelligenza e motore delle scoperte scientifiche, la curiosità è una dote preziosa, anche quando ci rende un po' ficcanasi.



PONTEDERA — La curiosità è variamente definita come impulso, istinto, passione, emozione, desiderio di conoscenza. Ma a cosa serve? La curiosità conduce a una maggiore conoscenza degli altri individui e dell'ambiente in cui si vive ed è più sviluppata negli animali predatori, come noi, che per sopravvivere devono conquistare nuovi ambienti. In termini evolutivi tutto ciò ha un chiaro significato: sopravvivere.

Ma quando scatta la curiosità? Qual è la molla? A stuzzicarla è la percezione di una sorta di buco nelle informzioni a disposizione: diventiamo curiosi quando ci rendiamo conto che c’e’tessera mancante tra quello che sappiamo e quello che vorremmo sapere. Del resto, è proprio alla curiosità che dobbiamo parte delle scoperte e delle invenzioni tecnologiche che hanno innalzato lo standard di vita degli esseri umani dalla preistoria in poi.

Albert Einstein diceva di sé: "Non ho particolari talenti, sono solo appassionatamente curioso". L'intelligenza, intesa in senso ampio come capacità di risolvere problemi di diverso tipo, comprende la curiosità, che è appunto la spinta a individuare nuove opportunità, rielaborando situazioni e oggetti. Eppure non tutte le persone curiose sono cervelloni, perché non tutti sono curiosi allo stesso modo.

Ma come possiamo distinguere curiosità da curiosità? Lo scrittore Ian Leslie identifica almeno due filoni: esiste una forma di curiosità vacua, superficiale, e una più profonda; le potremmo chiamare, rispettivamente, "diversiva" ed "epistemica". Il primo tipo è l'attrazione generica verso il nuovo, l'insolito, lo sconosciuto. È un punto di partenza: se le informazioni raccolte non vengono approfondite, può tradursi in una perdita di tempo ed energie. Diverso è invece il caso di chi si concentra su un unico tema: a trascinarlo è la voglia inesauribile di saperne di più. Ciò che fa la differenza non è perciò l'argomento su cui ci si interroga, ma il modo in cui lo si fa. Entrambe le modalità sono utili, ma la seconda, quella epistemica, porta maggiori vantaggi. Una componente importante della curiosità epistemica è lo sforzo che si compie durante la ricerca.

C'è invece un tipo di curiosità che non gode certo di buona reputazione. Si tratta di quella curiosità che si orienta verso i fatti privati degli altri. Questo tipo di interesse suscita sensazioni ambivalenti: da una parte c'è l'impulso a volerne sapere di più, dall'altra un vago senso di colpa, legato all'educazione e al principio secondo cui sarebbe sempre meglio farsi i fatti propri.

La curiosità non solo è utile: fa anche bene. Lo conferma uno studio condotto nel 2013 da Robert Wilson al Rush University Medical Centre di Chicago su 300 pazienti anziani. I soggeti con maggior curiosità e desiderio di conoscenza hanno mostrato un declino mentale più lento e una minor incidenza di demenza senile. La curiosità fa parted i noi, come un meccanismo ci permette di vivere anche di più.

Articolo tratto da: www.bibliotecaciechi.it/file/391/

Alessandra Bulgarella

4a Istituto XXV Aprile – Liceo Scientifico, Pontedera


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